In
Letteratura viene stimata una loro incidenza pari a 150 nuovi
ricoveri ospedalieri per anno ogni 100.000 abitanti. Tale incidenza è
sovrapponibile a quanto riscontrato nel nostro territorio se sommiamo
ai numeri della nostra casistica endoscopica d’urgenza (circa 100
per anno) il numero dei pazienti che vengono ricoverati per emorragia
minore ed osservati endoscopicamente, in un secondo tempo, in
elezione.
Schematicamente
le emorragie digestive (ED) vengono classificate in “alte” e
“basse”: sono comprese nelle prime tutte le emorragie aventi
origine dall’esofago, stomaco e duodeno fino all’angolo duodeno
digiunale (Treitz); le “basse” hanno origine da lesioni
localizzate dal Treitz all’ano. A loro volta le ED alte vengono
distinte in ”varicose” e “non varicose” secondo l’origine
del sanguinamento: se da varici esofagee o gastriche, oppure da altre
lesioni.
Generalmente
le ED “alte” si presentano con un sanguinamento definito “alto”
comprendente le seguenti manifestazioni anche contemporanee o in
immediata successione: l’ematemesi cioè l’emissione con il
meccanismo del vomito di sangue rutilante o rosso scuro; il vomito
caffeano altro non è che l’emissione con il vomito di contenuto
gastrico contaminato da sangue a tipo ”posa di caffè”; la melena
e cioè l’emissione di feci formate, ma più spesso liquide o
semiliquide, di colorito nero “piceo” e fetide.
Le
ED “basse” si presentano con un sanguinamento definito
“intermedio” o “basso”. L’”intermedio” comprende la
melena e la ematochezia. Quest’ultima è l’ emissione di sangue
rosso vivo o rosso vinoso misto a feci, emissione di coaguli o di
diarrea francamente sanguinolenta.
Il
sanguinamento ”basso” comprende la ematochezia, la proctorragia o
rettorragia e cioè l’emissione di sangue rosso vivo non commisto
alle feci ma localizzato al loro esterno, oppure l’ emissione di
solo sangue rosso vivo, senza feci. La proctorragia ha comunque
sempre origine da una lesione localizzata nei segmenti colici distali
di sinistra e nel retto.
E’
purtroppo però vero che tale distinzione didattica non sempre
corrisponde alla precisa localizzazione della sede di lesione causa
di emorragia, in quanto le caratteristiche del sangue espulso con il
vomito o con la defecazione possono essere modificate anche da altri
fattori quali: la entità e la velocità con cui avviene l’
emorragia, ed il differente tempo di transito o di ristagno
all’interno del lume dell’apparato digerente.
La
positività del test del sangue occulto fecale (senza sangue
visibile) si ha per sanguinamenti cronici o di modesta entità e non
indica assolutamente la causa e la sede della perdita ematica.
Nel
Triage delle ED alte non varicose vengono contemplati fattori
“Predittori di Sanguinamento” e fattori “Predittori di
Mortalità” . Pur senza entrare in particolari specialistici o
squisitamente tecnici è possibile sottolineare i seguenti.
“Predittori
di sanguinamento” di una ulcera sono: le dimensioni superiori ai 20
mm; la sede (quelle localizzate sulla piccola curva gastrica, alle
pareti superiori ed inferiori del bulbo duodenale sono in stretta
contiguità con vascolarizzazioni importanti, quindi a maggior
rischio emorragico); la presenza, all’atto endoscopico diagnostico,
di un attivo sanguinamento “a getto” od “a nappo”; la
presenza sul fondo dell’ulcera di un vaso visibile non sanguinante;
la presenza di un coagulo adeso alla base dell’ulcera.
“Predittori
di mortalità” per un sanguinamento alto non varicoso sono: l’età
avanzata del paziente; la presenza di comorbidità (valutate e
schematizzate nella classificazione del rischio dell’American
Society of Anesthesiology); la instabilità emodinamica, anche per
comparsa di anemia acuta; la presenza di una ematemesi rosso vivo;
ed infine la quantità di trasfusioni necessarie a mantenere il
compenso emodinamico e correggere l’anemia acuta.
Fattori
di rischio per le ED alte varicose (una emorragia da varici compare
nel 20 % dei pazienti entro due anni dalla prima diagnosi e per
questo tipo di emorragia è riportata, in Letteratura, una mortalità
compresa fra il 10 ed il 20 %) sono: l’elevata pressione nel
sistema portale; la grave compromissione del parenchima epatico
(valutata e schematizzata nella classificazione di Child); la
presenza di sanguinamento attivo al momento dell’atto endoscopico.
In copresenza di questi fattori, o di maggiore gravità di essi, è
possibile il fallimento della terapia endoscopica per:
inarrestabilità del sanguinamento, ripresa a breve termine del
sanguinamento stesso, morte del paziente.
Il
Triage delle ED basse non trova, in Letteratura, una
standardizzazione pari a quella delle ED alte. Si giudica grave un
sanguinamento se: necessarie più di due unità di sangue per
compensare l’anemizzazione; è evidente un calo del valore
dell’emocromo superiore al 20 %; è rilevata una frequenza cardiaca
superiore a 100 bpm; viene misurata una PA sistolica inferiore a 115
mm Hg; è riferita una lipotimia; persiste un sanguinamento durante
le prime 4 ore di osservazione ed infine, ma non ultimo quale fattore
aggravante, coesiste terapia con ASA o AO.
Nostro
scopo però non è solamente quello di schematizzare le cause di ED o
valutarne la gravità; anche e principalmente è quello di arrestare
l’episodio emorragico onde evitare al paziente un trattamento più
aggressivo e/o demolitivo quale quello chirurgico, o la morte.
Nella
trattamento delle ED alte non varicose trova giusta collocazione la
terapia medica di supporto: l’ infusione di soluzioni cristalloidi
e colloidi per mantenere la stabilità del circolo; le trasfusioni
per compensare l’anemia; la vit. K in caso di anticoagulazione
farmacologia. La terapia medica specifica è oggi costituita dalla
somministrazione di IPP ev, in infusione continua, o in boli di 40 mg
ogni 8 – 6 ore. Quando l’esofagogastroduodenoscopia ? Sicuramente
entro 24 ore dalla comparsa dell’episodio emorragico e comunque a
condizioni emodinamiche soddisfacenti anche perché ristabilite.
Nel
trattamento delle ED alte varicose trova sempre giusta collocazione
la terapia medica di supporto così come dianzi descritta; la terapia
medica specifica si avvale dell’uso di antibiotici somministrati
per via parenterale (il cirrotico frequentemente va incontro a sepsi
anche letale dopo un evento emorragico); e di farmaci vasoattivi
quali la terlipressina, la somatostatina e l’octeotride, i quali
riducendo il valore pressorio nel territorio splancnico riducono la
portata ematica nelle varici e da qui l’emorragia. Quando
l’esofagogastroduodenoscopia ? Sicuramente non appena vengono
ristabilite condizioni emodinamiche soddisfacenti e comunque entro 12
ore.
Nel
trattamento delle ED basse trova ampia collocazione la terapia
medica, anche supportata dall’impiego dell’acido tranexamico per
via parenterale, perché non esiste un timing condiviso sul momento
dell’esecuzione dell’Endoscopia Digestiva. Alcuni Autori
suggeriscono di effettuare una preparazione intestinale forzata
nell’urgenza (anche attraverso sondino naso-gastrico) e
l’esecuzione di colonscopia in corso di emorragia; altri praticano
terapia medica in attesa dello stop dell’episodio emorragico per
poi praticare la colonscopia in elezione. Noi preferiamo questo
secondo atteggiamento seppure alcune rare volte, per emorragie
imponenti, abbiamo eseguito la colonscopia in urgenza, senza
ricorrere alla preliminare preparazione intestinale.
Volendo
elencare le cause di ED, e ricordando sempre la classificazione in
“alte” e “basse” possiamo dire che fra le prime, in ordine
decrescente per incidenza percentuale, vi sono: l’ulcera duodenale,
la gastrite erosiva, l’ulcera gastrica, le varici esofagee o
esofago-gastriche, la duodenite erosiva, le neoplasie dell’esofago
e dello stomaco. Nelle seconde, nello stesso ordine, vi sono: la
diverticolosi colica, le angiodisplasie del colon, le neoplasie
benigne e maligne del colon, le malattie infiammatorie croniche
intestinali, le coliti post-irradiazione ed infettive, le emorroidi e
ragadi anali, le emorragie post-polipectomia endoscopica e
post-operatorie. Una lesione particolare, causa di ED alta o bassa
perché riscontrabile in qualsiasi segmento dell’apparato
digerente, è la “lesione di Dieulafoy”: questa è una anomalia
vascolare (arteriola della sottomucosa che affiora alla mucosa
lacerandosi) che causa un improvviso ed importante sanguinamento. La
peculiarità negativa di questa lesione è la sua irriconoscibilità
se non viene identificata in corso di sanguinamento attivo; pertanto
in caso di arresto spontaneo (non raro ma spesso recidivante) del
sanguinamento si potrebbe avere una endoscopia positiva per presenza
di sangue in cavità ma negativa circa la causa.
Ebbene,
qual’e il ruolo dell’Endoscopia Digestiva nel management delle
ED? Fino qualche tempo fa, non molto lontano, l’endoscopia aveva un
ruolo puramente diagnostico e spesso veniva praticata ad avvenuto
arresto dell’emorragia, finalizzata al solo riconoscimento della
causa. Oggi no! Si intuisce da quanto è stato detto in precedenza a
proposito del trattamento dell’ED. L’endoscopia digestiva,
nell’emorragia digestiva, ha un ruolo squisitamente terapeutico:
riconosciuta la causa di emorragia bisogna che questa sia arrestata.
E perciò parliamo di Emostasi Endoscopica.
Quali
le tecniche di Emostasi Endoscopica ? ben codificate, esse sono 4: la
iniettiva, la termica, la topica e la meccanica.
La
tecnica iniettiva si avvale dell’impiego dell’ago da iniezione,
questo accessorio è un lungo ago che percorre il canale operativo
dell’endoscopio per fuoriuscire all’estremità distale
dell’endoscopio stesso. Attraverso questo si possono iniettare
intorno alla lesione sanguinante o nel contesto di essa alcuni
farmaci. L’adrenalina diluita iniettata in sede perilesionale
(ulcera ad esempio) ha un duplice effetto: realizza l’ emostasi per
compressione vascolare ma anche farmacologicamente per indotta
vasocostrizione arteriolare. Il polidocanolo (atossisclerolo)
iniettato nel contesto vascolare e/o perivascolare di una lesione
(varice esofagea, ulcera) ha anch’esso effetto compressivo, per
sclerosi dei tessuti perivascolari, ma anche obliterativo, sempre per
sclerosi, quando iniettato nel lume vascolare. Allo stesso modo
agisce il cianoacrilato, il quale iniettato all’interno del vaso
della lesione (varice fondo gastrico ad esempio) ne produce la
obliterazione solidificando “a stampo”nel lume vascolare.
La
terapia termica utilizza l’energia elettrica di coagulazione
prodotta da particolari elettrobisturi e viene veicolata da sonde di
conduzione che fuoriescono, attraversando il canale operativo,
dall’estremità distale dell’endoscopio stesso. Il contatto
dell’apice della sonda bipolare, che emette la corrente, con il
vaso della lesione (vaso visibile su fondo d’ulcera ad esempio) ne
provoca l’obliterazione coagulativa. Negli elettrobisturi di ultima
generazione la corrente di coagulazione viene veicolata dal gas
argon, sempre mediante tipi di sonde. Quest’ultima tecnica
coagulativa, definita Argon Plasma Coagulation, offre il vantaggio
dell’assenza di contatto fra sonda e vaso. In pratica il gas argon
viene “spruzzato”, e con esso la corrente, sulla lesione
provocando coagulazione dei vasi e dei tessuti. Questa tecnica ha
praticamente annullato il rischio performativo viscerale presente
nelle tecniche da contatto precedentemente impiegate.
La
terapia topica, della quale non abbiamo esperienza, consiste nello
“spruzzare” colla di fibrina o spray di trombina sulla lesione
(fondo d’ulcera ad esempio) al fine di ottenere una emostasi per
coagulazione biochimica.
La
terapia meccanica fa uso di particolari accessori (clips, band
ligator, endoloops) che realizzano l’emostasi con effetto
meccanico. Le clips, paragonabili sommariamente alle gaffette
utilizzate per spillare dei fogli, vengono fatte scivolare chiuse,
alloggiate all’interno di un catetere, dentro il canale operativo
dell’endoscopio. Una volta fuoriuscite dall’estremità distale
dell’endoscopio vengono aperte come le chele di un granchio e
successivamente serrate per chiudere meccanicamente il vaso
sanguinante (lesione di Dieulafoy ad esempio). Più complessa è la
descrizione di un band ligator e del suo funzionamento: si tratta di
una serie di piccoli elastici circolari impilati su un piccolo
cilindro che viene a sua volta adattato sull’estremità distale
dell’endoscopio. Questi elastici sono manovrabili per mezzo di un
cavetto di acciaio che scorre nel canale operativo dell’endoscopio,
collegato a sua volta ad una manopola di rilascio innestata sulla
parte prossimale del canale operativo. La suzione della lesione
sanguinante (varice esofagea abitualmente) all’interno del cilindro
ed il rilascio dell’elastico alla base del vaso risucchiato
consentono l’emostasi con un meccanismo di strozzamento e quindi di
obliterazione del vaso. L’endoloop non è altro che un piccolo
cappio che viene introdotto, chiuso all’interno di un piccolo
catetere nel canale operativo dell’endoscopio, una volta
fuoriuscito dall’estremità distale dell’endoscopio viene
disteso, posizionato a circondare la lesione sanguinante (peduncolo
di un polipo classicamente), quindi serrato ed infine rilasciato dal
catetere. Anche questo accessorio realizza l’emostasi per
strangolamento e quindi obliterazione del vaso sanguinante.
La
tecniche di emostasi endoscopica possono essere impiegate
singolarmente, o in combinazione, nel trattamento di una lesione
sanguinante. In Letteratura viene riconosciuto un ottimale effetto
emostatico alle tecniche termiche e meccaniche usate singolarmente,
in minor misura a quelle iniettive. L’efficacia delle tecniche
iniettive viene esaltata dalla combinazione di queste con le tecniche
termiche e meccaniche.
Dott.
Antonio Chirico
Endoscopia
Digestiva Diagnostica e Chirurgica - Azienda Sanitaria Provinciale
Vibo Valentia
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