venerdì 28 novembre 2014

LE EMORRAGIE DIGESTIVE


In Letteratura viene stimata una loro incidenza pari a 150 nuovi ricoveri ospedalieri per anno ogni 100.000 abitanti. Tale incidenza è sovrapponibile a quanto riscontrato nel nostro territorio se sommiamo ai numeri della nostra casistica endoscopica d’urgenza (circa 100 per anno) il numero dei pazienti che vengono ricoverati per emorragia minore ed osservati endoscopicamente, in un secondo tempo, in elezione.
Schematicamente le emorragie digestive (ED) vengono classificate in “alte” e “basse”: sono comprese nelle prime tutte le emorragie aventi origine dall’esofago, stomaco e duodeno fino all’angolo duodeno digiunale (Treitz); le “basse” hanno origine da lesioni localizzate dal Treitz all’ano. A loro volta le ED alte vengono distinte in ”varicose” e “non varicose” secondo l’origine del sanguinamento: se da varici esofagee o gastriche, oppure da altre lesioni.
Generalmente le ED “alte” si presentano con un sanguinamento definito “alto” comprendente le seguenti manifestazioni anche contemporanee o in immediata successione: l’ematemesi cioè l’emissione con il meccanismo del vomito di sangue rutilante o rosso scuro; il vomito caffeano altro non è che l’emissione con il vomito di contenuto gastrico contaminato da sangue a tipo ”posa di caffè”; la melena e cioè l’emissione di feci formate, ma più spesso liquide o semiliquide, di colorito nero “piceo” e fetide.
Le ED “basse” si presentano con un sanguinamento definito “intermedio” o “basso”. L’”intermedio” comprende la melena e la ematochezia. Quest’ultima è l’ emissione di sangue rosso vivo o rosso vinoso misto a feci, emissione di coaguli o di diarrea francamente sanguinolenta.
Il sanguinamento ”basso” comprende la ematochezia, la proctorragia o rettorragia e cioè l’emissione di sangue rosso vivo non commisto alle feci ma localizzato al loro esterno, oppure l’ emissione di solo sangue rosso vivo, senza feci. La proctorragia ha comunque sempre origine da una lesione localizzata nei segmenti colici distali di sinistra e nel retto.
E’ purtroppo però vero che tale distinzione didattica non sempre corrisponde alla precisa localizzazione della sede di lesione causa di emorragia, in quanto le caratteristiche del sangue espulso con il vomito o con la defecazione possono essere modificate anche da altri fattori quali: la entità e la velocità con cui avviene l’ emorragia, ed il differente tempo di transito o di ristagno all’interno del lume dell’apparato digerente.
La positività del test del sangue occulto fecale (senza sangue visibile) si ha per sanguinamenti cronici o di modesta entità e non indica assolutamente la causa e la sede della perdita ematica.
Nel Triage delle ED alte non varicose vengono contemplati fattori “Predittori di Sanguinamento” e fattori “Predittori di Mortalità” . Pur senza entrare in particolari specialistici o squisitamente tecnici è possibile sottolineare i seguenti.
Predittori di sanguinamento” di una ulcera sono: le dimensioni superiori ai 20 mm; la sede (quelle localizzate sulla piccola curva gastrica, alle pareti superiori ed inferiori del bulbo duodenale sono in stretta contiguità con vascolarizzazioni importanti, quindi a maggior rischio emorragico); la presenza, all’atto endoscopico diagnostico, di un attivo sanguinamento “a getto” od “a nappo”; la presenza sul fondo dell’ulcera di un vaso visibile non sanguinante; la presenza di un coagulo adeso alla base dell’ulcera.
Predittori di mortalità” per un sanguinamento alto non varicoso sono: l’età avanzata del paziente; la presenza di comorbidità (valutate e schematizzate nella classificazione del rischio dell’American Society of Anesthesiology); la instabilità emodinamica, anche per comparsa di anemia acuta; la presenza di una ematemesi rosso vivo; ed infine la quantità di trasfusioni necessarie a mantenere il compenso emodinamico e correggere l’anemia acuta.
Fattori di rischio per le ED alte varicose (una emorragia da varici compare nel 20 % dei pazienti entro due anni dalla prima diagnosi e per questo tipo di emorragia è riportata, in Letteratura, una mortalità compresa fra il 10 ed il 20 %) sono: l’elevata pressione nel sistema portale; la grave compromissione del parenchima epatico (valutata e schematizzata nella classificazione di Child); la presenza di sanguinamento attivo al momento dell’atto endoscopico. In copresenza di questi fattori, o di maggiore gravità di essi, è possibile il fallimento della terapia endoscopica per: inarrestabilità del sanguinamento, ripresa a breve termine del sanguinamento stesso, morte del paziente.
Il Triage delle ED basse non trova, in Letteratura, una standardizzazione pari a quella delle ED alte. Si giudica grave un sanguinamento se: necessarie più di due unità di sangue per compensare l’anemizzazione; è evidente un calo del valore dell’emocromo superiore al 20 %; è rilevata una frequenza cardiaca superiore a 100 bpm; viene misurata una PA sistolica inferiore a 115 mm Hg; è riferita una lipotimia; persiste un sanguinamento durante le prime 4 ore di osservazione ed infine, ma non ultimo quale fattore aggravante, coesiste terapia con ASA o AO.
Nostro scopo però non è solamente quello di schematizzare le cause di ED o valutarne la gravità; anche e principalmente è quello di arrestare l’episodio emorragico onde evitare al paziente un trattamento più aggressivo e/o demolitivo quale quello chirurgico, o la morte.
Nella trattamento delle ED alte non varicose trova giusta collocazione la terapia medica di supporto: l’ infusione di soluzioni cristalloidi e colloidi per mantenere la stabilità del circolo; le trasfusioni per compensare l’anemia; la vit. K in caso di anticoagulazione farmacologia. La terapia medica specifica è oggi costituita dalla somministrazione di IPP ev, in infusione continua, o in boli di 40 mg ogni 8 – 6 ore. Quando l’esofagogastroduodenoscopia ? Sicuramente entro 24 ore dalla comparsa dell’episodio emorragico e comunque a condizioni emodinamiche soddisfacenti anche perché ristabilite.
Nel trattamento delle ED alte varicose trova sempre giusta collocazione la terapia medica di supporto così come dianzi descritta; la terapia medica specifica si avvale dell’uso di antibiotici somministrati per via parenterale (il cirrotico frequentemente va incontro a sepsi anche letale dopo un evento emorragico); e di farmaci vasoattivi quali la terlipressina, la somatostatina e l’octeotride, i quali riducendo il valore pressorio nel territorio splancnico riducono la portata ematica nelle varici e da qui l’emorragia. Quando l’esofagogastroduodenoscopia ? Sicuramente non appena vengono ristabilite condizioni emodinamiche soddisfacenti e comunque entro 12 ore.
Nel trattamento delle ED basse trova ampia collocazione la terapia medica, anche supportata dall’impiego dell’acido tranexamico per via parenterale, perché non esiste un timing condiviso sul momento dell’esecuzione dell’Endoscopia Digestiva. Alcuni Autori suggeriscono di effettuare una preparazione intestinale forzata nell’urgenza (anche attraverso sondino naso-gastrico) e l’esecuzione di colonscopia in corso di emorragia; altri praticano terapia medica in attesa dello stop dell’episodio emorragico per poi praticare la colonscopia in elezione. Noi preferiamo questo secondo atteggiamento seppure alcune rare volte, per emorragie imponenti, abbiamo eseguito la colonscopia in urgenza, senza ricorrere alla preliminare preparazione intestinale.
Volendo elencare le cause di ED, e ricordando sempre la classificazione in “alte” e “basse” possiamo dire che fra le prime, in ordine decrescente per incidenza percentuale, vi sono: l’ulcera duodenale, la gastrite erosiva, l’ulcera gastrica, le varici esofagee o esofago-gastriche, la duodenite erosiva, le neoplasie dell’esofago e dello stomaco. Nelle seconde, nello stesso ordine, vi sono: la diverticolosi colica, le angiodisplasie del colon, le neoplasie benigne e maligne del colon, le malattie infiammatorie croniche intestinali, le coliti post-irradiazione ed infettive, le emorroidi e ragadi anali, le emorragie post-polipectomia endoscopica e post-operatorie. Una lesione particolare, causa di ED alta o bassa perché riscontrabile in qualsiasi segmento dell’apparato digerente, è la “lesione di Dieulafoy”: questa è una anomalia vascolare (arteriola della sottomucosa che affiora alla mucosa lacerandosi) che causa un improvviso ed importante sanguinamento. La peculiarità negativa di questa lesione è la sua irriconoscibilità se non viene identificata in corso di sanguinamento attivo; pertanto in caso di arresto spontaneo (non raro ma spesso recidivante) del sanguinamento si potrebbe avere una endoscopia positiva per presenza di sangue in cavità ma negativa circa la causa.
Ebbene, qual’e il ruolo dell’Endoscopia Digestiva nel management delle ED? Fino qualche tempo fa, non molto lontano, l’endoscopia aveva un ruolo puramente diagnostico e spesso veniva praticata ad avvenuto arresto dell’emorragia, finalizzata al solo riconoscimento della causa. Oggi no! Si intuisce da quanto è stato detto in precedenza a proposito del trattamento dell’ED. L’endoscopia digestiva, nell’emorragia digestiva, ha un ruolo squisitamente terapeutico: riconosciuta la causa di emorragia bisogna che questa sia arrestata. E perciò parliamo di Emostasi Endoscopica.
Quali le tecniche di Emostasi Endoscopica ? ben codificate, esse sono 4: la iniettiva, la termica, la topica e la meccanica.
La tecnica iniettiva si avvale dell’impiego dell’ago da iniezione, questo accessorio è un lungo ago che percorre il canale operativo dell’endoscopio per fuoriuscire all’estremità distale dell’endoscopio stesso. Attraverso questo si possono iniettare intorno alla lesione sanguinante o nel contesto di essa alcuni farmaci. L’adrenalina diluita iniettata in sede perilesionale (ulcera ad esempio) ha un duplice effetto: realizza l’ emostasi per compressione vascolare ma anche farmacologicamente per indotta vasocostrizione arteriolare. Il polidocanolo (atossisclerolo) iniettato nel contesto vascolare e/o perivascolare di una lesione (varice esofagea, ulcera) ha anch’esso effetto compressivo, per sclerosi dei tessuti perivascolari, ma anche obliterativo, sempre per sclerosi, quando iniettato nel lume vascolare. Allo stesso modo agisce il cianoacrilato, il quale iniettato all’interno del vaso della lesione (varice fondo gastrico ad esempio) ne produce la obliterazione solidificando “a stampo”nel lume vascolare.
La terapia termica utilizza l’energia elettrica di coagulazione prodotta da particolari elettrobisturi e viene veicolata da sonde di conduzione che fuoriescono, attraversando il canale operativo, dall’estremità distale dell’endoscopio stesso. Il contatto dell’apice della sonda bipolare, che emette la corrente, con il vaso della lesione (vaso visibile su fondo d’ulcera ad esempio) ne provoca l’obliterazione coagulativa. Negli elettrobisturi di ultima generazione la corrente di coagulazione viene veicolata dal gas argon, sempre mediante tipi di sonde. Quest’ultima tecnica coagulativa, definita Argon Plasma Coagulation, offre il vantaggio dell’assenza di contatto fra sonda e vaso. In pratica il gas argon viene “spruzzato”, e con esso la corrente, sulla lesione provocando coagulazione dei vasi e dei tessuti. Questa tecnica ha praticamente annullato il rischio performativo viscerale presente nelle tecniche da contatto precedentemente impiegate.
La terapia topica, della quale non abbiamo esperienza, consiste nello “spruzzare” colla di fibrina o spray di trombina sulla lesione (fondo d’ulcera ad esempio) al fine di ottenere una emostasi per coagulazione biochimica.
La terapia meccanica fa uso di particolari accessori (clips, band ligator, endoloops) che realizzano l’emostasi con effetto meccanico. Le clips, paragonabili sommariamente alle gaffette utilizzate per spillare dei fogli, vengono fatte scivolare chiuse, alloggiate all’interno di un catetere, dentro il canale operativo dell’endoscopio. Una volta fuoriuscite dall’estremità distale dell’endoscopio vengono aperte come le chele di un granchio e successivamente serrate per chiudere meccanicamente il vaso sanguinante (lesione di Dieulafoy ad esempio). Più complessa è la descrizione di un band ligator e del suo funzionamento: si tratta di una serie di piccoli elastici circolari impilati su un piccolo cilindro che viene a sua volta adattato sull’estremità distale dell’endoscopio. Questi elastici sono manovrabili per mezzo di un cavetto di acciaio che scorre nel canale operativo dell’endoscopio, collegato a sua volta ad una manopola di rilascio innestata sulla parte prossimale del canale operativo. La suzione della lesione sanguinante (varice esofagea abitualmente) all’interno del cilindro ed il rilascio dell’elastico alla base del vaso risucchiato consentono l’emostasi con un meccanismo di strozzamento e quindi di obliterazione del vaso. L’endoloop non è altro che un piccolo cappio che viene introdotto, chiuso all’interno di un piccolo catetere nel canale operativo dell’endoscopio, una volta fuoriuscito dall’estremità distale dell’endoscopio viene disteso, posizionato a circondare la lesione sanguinante (peduncolo di un polipo classicamente), quindi serrato ed infine rilasciato dal catetere. Anche questo accessorio realizza l’emostasi per strangolamento e quindi obliterazione del vaso sanguinante.

La tecniche di emostasi endoscopica possono essere impiegate singolarmente, o in combinazione, nel trattamento di una lesione sanguinante. In Letteratura viene riconosciuto un ottimale effetto emostatico alle tecniche termiche e meccaniche usate singolarmente, in minor misura a quelle iniettive. L’efficacia delle tecniche iniettive viene esaltata dalla combinazione di queste con le tecniche termiche e meccaniche.
 
Dott. Antonio Chirico

Endoscopia Digestiva Diagnostica e Chirurgica - Azienda Sanitaria Provinciale Vibo Valentia

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